giovedì 19 gennaio 2017

Life, Animated

Life, Animated - la recensione del documentario candidato all'Oscar

Nell'agguerrita competizione che dovrà affrontare Fuocoammare di Gianfranco Rosi per la conquista dell'Oscar c'è anche Life, Animated, una toccante storia vera diretta da Roger Ross Williams, già premio Oscar nel 2011 per il cortometraggio documentario Music by Prudence. Preceduto dal premio per la miglior regia di documentario al Sundance, da quello del pubblico a Telluride, San Francisco e altri festival in tutto il mondo, arriva anche in Italia questo film sull'esperienza di una malattia terribile come l'autismo, da cui non si può guarire del tutto ma che si può in qualche modo curare, nella storia eccezionale e piena di speranza di Owen Suskind, raccontata in un libro omonmo dal giornalista del New York Times Ron Suskind, premio Pulitzer e documentata poi in questo film.
Come nella maggior parte dei bambini, anche in Owen l'autismo si manifesta intorno ai tre anni. Prima di quel terribile momento, il bambino parla e interagisce normalmente e all'improvviso si spegne come se qualcuno avesse girato un interruttore, inizia ad avere problemi motori e soprattutto perde la capacità di parlare e comunicare col mondo. Nel film, il padre paragona l'accaduto a un rapimento, come se il figlio con cui hai parlato, giocato e scherzato fino a poco tempo prima (come si vede nei filmini famigliari girati prima del manifestarsi della malattia) ti fosse stato portato via. Da lì inizia la consueta, terribile e disperante trafila di molte famiglie (e i Suskind, che sono benestanti, sono comunque favoriti rispetto ad altri nuclei famigliari), con i responsi negativi di medici e psichiatri, fino al tentativo di mandare il figlio in una scuola per ragazzi con bisogni speciali, per scoprire che proprio lì è stato oggetto di bullismo.
A un certo punto, un giorno, si apre uno spiraglio di luce quando Owen, come molti bambini appassionato dei cartoon Disney, ripete una frase de La sirenetta come se volesse effettivamente comunicare qualcosa (la frase, non casuale, è “solo la tua voce”). Il medico però gela le speranze dei genitori, spiegando che spesso gli autistici ripetono semplicemente “a pappagallo” quello che sentono, senza capirne il senso. Solo dopo qualche anno, grazie alla costanza dei genitori e a una marionetta di Jago, la maligna spalla di Jafar in Aladdin (che, per ironia della sorte, è proprio un pappagallo), il padre, calandosi nel personaggio, riesce ad avere uno scambio più lungo col figlio e pian piano, attraverso i film che conosce interamente a memoria, Owen impara di nuovo a parlare e a comunicare, fino a riacquistare l'uso del linguaggio e una certa autonomia.
Nel film lo vediamo diplomarsi a 23 anni, andare a vivere “da solo” in una struttura assistita e lavorare in un cinema, anche se è angosciosa la preoccupazione dei genitori, comune ai molti che hanno figli non autonomi: cosa ne sarà di lui quando non ci saremo più? Owen ha un fratello più grande di 3 anni, Walter, che a suo modo cerca di prendersi cura di lui, renderlo autonomi e insegnargli qualcosa della vita reale, come l'amore per esempio, visto che nel mondo Disney ci sono solo baci a fior di labbra e niente sesso. E quando Owen viene lasciato dalla sua fidanzatina è commovente assistere alla sua disperazione, convinto com'è che, se non si può vivere per sempre felici e contenti, si sarà per sempre infelici.
Dopo gli episodi di bullismo subiti a scuola, il padre scopre in cantina un blocco interamente ricoperto di disegni di Owen: erano tutti "sidekick", le classiche spalle degli eroi Disney, quelli che fanno ridere e che li aiutano a conquistare i loro obiettivi. Ai disegni era poi seguita una storia (bellissima), La terra degli aiutanti perduti", dove un bambino in una foresta li difendeva dal malvagio Fuzzburch, diventando loro protettore. È con gli indifesi, i piccoli, i deboli che Owen si identifica, promettendo di non lasciarli mai da soli. La macchina da presa di Ross Williams è molto discreta, quasi invisibile, e lascia il posto a tratti alle bellissime animazioni che Mac Guff fa della storia inventata da Owen. Colpisce – e va a merito della funzione educativa e della conoscenza della psicologia infantile dei cartoon della Disney - il fatto che per ogni stato d'animo, ogni momento della vita, bello o brutto, Owen trovi una scena e un personaggio di riferimento in film come Bambi, Dumbo, La sirenetta, Aladdin, Peter Pan, Il gobbo di Notre Dame, La bella e la bestia e Il re Leone.
La grande paura di Owen, in fondo, è comune a molti altri ragazzi, solo che nel suo caso, per la sua nuda sensibilità, è moltiplicata per mille: è la paura di crescere e di perdere la magia dell'infanzia. Il suo attaccamento alle vecchie videocassette Disney, il riprodurne i dialoghi e le voci è il suo modo per non cadere nel baratro della solitudine che spesso caratterizza la vita adulta, alla quale vuole però ardentemente partecipare. 
È un percorso di crescita quello di Owen Suskind, raccontato con passione e gioia, che dimostra come un autistico, anche se non può guarire, può comunque vivere nel mondo reale e che, come lui stesso dichiara nel suo bellissimo discorso al convegno di Rennes, ha gli stessi desideri e timori di tutti gli (altri) esseri umani.

Fonte: QUI

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