Rai Movie sta programmando, dal lunedì al venerdì, in prima serata, i film di Laurel & Hardy. È un segnale interessante, da leggersi in diverse chiavi. Succede che non solo la Rai, ma tutte le più importanti reti abbiano adottato questa politica "passatista" definiamola così. La ragione primaria è semplice: gli investimenti. È notoria e stucchevole la didascalia "non ci sono più soldi" e così occorre giocare al risparmio acquisendo prodotti a basso costo. Le grandi produzioni esistono, in termini di serie, ma vengono trasmesse dalle Pay Tv che hanno le risorse per fare del prodotto televisivo qualcosa che per qualità e ricchezza possa avvicinarsi al grande schermo. Ci sono segnali forti in questo senso, basta essere attenti alla promozione sui due schermi, oppure alla cartellonistica nelle strade: le serie tivù sono ormai prevalenti. Un altro segnale sono i divi: un tempo per un attore affermato in cinema fare della televisione era un impietoso segnale di declino. Adesso invece è una medaglia che si porta dietro contratti cospicui. Alle emittenti in chiaro dunque rimane... il fondo del barile. Anche se a volte, nel "fondo" si può rintracciare della qualità, alta magari. La miriade di emittenti produce un'overdose di offerta che brucia i programmi che vengono inseriti, quasi sempre, senza una logica di palinsesto: significa che ci sarebbero delle fasce, dei target e dei momenti che andrebbero ragionati. Invece ormai si "butta dentro", a caso, qualcuno, nello zapping finirà pure per fermarsi da qualche parte. E dunque ecco la riproposta di vecchie serie, alcune delle quali ebbero, a suo tempo, anche un ottimo gradimento. Il tempo, appunto, permette di resettare la vedibilità di certe offerte. Gran parte risente della veloce evoluzione della comunicazione e del gusto. Qualche serie invece riesce ancora ad essere credibile.
Stan Laurel e Oliver Hardy erano un disegno che appartiene geneticamente alla nostra dotazione, come una Marilyn, capiti e amati in tutti i continenti e lo sarebbero stati in tutte le epoche
Pino Farinotti
A campione: non passa giorno che da qualche parte non spunti un film di Fantozzi. A suo tempo, erano gli anni settanta, le disavventure dell'impiegato rappresentavano una bella invenzione, persino con tiepide implicazioni culturali. Adesso risultano stantie e banali. Piedone -Bud Spencer, coi suoi cazzotti è tristemente sorpassato; Monnezza - Milian anche; l'ispettore Tibbs (serie) risente pesantemente degli anni settanta; Attenti a quei due si salva, appena, per la simpatia di Curtis e Moore; anche i "Bond" di Moore annoiano, mentre resistono quelli di Connery. Miami vice ha compiuto trent'anni ma resiste, in virtù dell'investimento e di una regia non obsoleta. Sembra non risentire del tempo La signora in giallo, per la sua formula divertente e leggera e grazie alla protagonista Angela Lansbury, una fuoriclasse. Anche Colombo lo guardi ancora. Poi c'è Poirot, interpreatato da David Suchet che, fra il 1989 e il 2013 ha coperto quel ruolo ben settanta volte nella famosa serie televisiva. Questa famigliarità gli ha permesso, stagione dopo stagione di diventare, letteralmente, Poirot. E anche un amico fedele di chi ama il giallo classico e l'elegante scenario vittoriano.
In questo contesto: Laurel & Hardy. Con loro ho un rapporto. Due anni fa ho scritto, insieme a mia figlia Rossella, I cento film della nostra vita. Cercavo un'immagine, una sola, che rappresentasse tutto il cinema. Alla fine ho composto un cartello di nomination: Rhett e Rossella abbracciati in Via col vento; Gene Kelly che balla sotto la pioggia; il mimo Jean Louis Barrault sul palcoscenico in piazza di Les enfants du paradis; il cavaliere Antonius Block che gioca a scacchi con la morte ne Il settimo sigillo; il Rex che naviga su quel mare di plastica di Amarcord; Laurel & Hardy in kilt che raccolgono la spazzatura danzando intorno a un bidone ne Gli allegri scozzesi; Charlot col suo balletto del pane ne La febbre dell'oro. Ho scelto Stanlio e Ollio. Dico che nessuno come loro rappresenta il cinema nella sua opzione primaria, che è l'evasione. Nella sequenza che ho detto sopra danzano al ritmo di una marcia scozzese, con le scope in mano. Si vede che improvvisano, inventano gag, movimenti, minuetti. Stan Laurel e Oliver Hardy bastavano a se stessi. Non avrebbero nemmeno avuto bisogno della parola. Erano un disegno che appartiene geneticamente alla nostra dotazione, come una Marilyn, capiti e amati in tutti i continenti e lo sarebbero stati in tutte le epoche: penso a un Napoleone al quale presentassero la Monroe oppure a un Plauto, commediografo del terzo secolo avanti Cristo, che vedesse quella sequenza scozzese. L'invito è, "cadendo" sui due, a non scappare subito, a soffermarsi per qualche momento. Non si cambia più canale.
Fonte:Qui
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