Sono lontani, per fortuna, gli anni orribili dei manicomi lager raccontati nel 1975 nel documentario Matti da slegare di Bellocchio, Agosti, Rulli e Petraglia e aboliti nel 1978 dalla legge 180 o legge Basaglia, dal nome dello psichiatra Franco Basaglia che promosse la riforma psichiatrica. Ma le persone con disagi o handicap mentali, lievi o gravi, ci sono ancora e non esistono dopo quasi 40 anni abbastanza strutture e personale qualificato in grado di accoglierli e aiutarli. Una delle felici eccezioni, a Roma, è quella del centro Don Guanella, dove è ambientata la storia dell'opera prima di Fabrizio Maria Cortese, Ho amici in Paradiso, in concorso ad Alice nella città nell'ultima Festa del Cinema di Roma. L'autore, che conosce la struttura, fa dei disabili accolti dal centro il fulcro di una storia di redenzione narrata in forma di commedia.
Il pretesto è quello che accade a Felice Castriota (Fabrizio Ferracane), un uomo d'affari pugliese che per avidità di denaro ha scelto i partner sbagliati e che accetta di collaborare con la giustizia in cambio di un anno da passare ai servizi sociali in regime di libertà vigilata. Viene dunque mandato a Roma nel centro Don Guanella, dove, inizialmente distaccato e disgustato dal contatto coi “matti”, ci prova subito con arroganza con la bella dottoressa Giulia (Valentina Cervi), ma pian piano si converte (laicamente) grazie proprio ai rapporti con gli ospiti della struttura, sopprattutto Antonio (Antonio Folletto), un ragazzo emiplegico grave che gli racconta di aver messo in scena il Riccardo III e gli fa riscoprire la vecchia passione per la recitazione. Ma le cose si complicano quando il boss tradito, U Pacciu, uscito dal carcere e mandato ai domiciliari, invia due scagnozzi a rapirlo. Alla sua salvezza partono in tanti, incluso un gruppetto dei suoi amici pazienti in una rocambolesca corsa verso la Puglia.
È un piccolo film pieno di buone intenzioni e con momenti divertenti e toccanti Ho amici in Paradiso, il cui principale difetto è quello di mettere troppa carne al fuoco, senza riuscire a cuocerla tutta allo stesso modo. Forse per insicurezza o per eccesso di generosità, Cortese si complica inutilmente la vita, aggiungendo personaggi che non ha tempo di approfondire e che spariscono presto o restano allo spessore di comparse, come la madre di Felice o il figlio adolescente ribelle della psicologa, e trame poco probabili come la parte che coinvolge la vendetta mafiosa, che entra tardivamente nella vicenda e viene risolta frettolosamente, dopo un buffo intermezzo on the road. In fondo non ce n'era bisogno, visto che il cuore del film è l'interazione – ottima e sincera – tra veri attori e veri malati, con la loro ingenua schiettezza e ricchezza emotiva. Sicuramente per gli ospiti del Don Guanella partecipare al film è stata un'esperienza terapeutica interessante e per i bravi protagonisti – a cui si aggiungono Antonio Catania e in un piccolissimo e inedito ruolo Enzo Salvi – un momento di scambio che li avrà arricchiti come artisti e come persone. Ma ciò non toglie che la destinazione ideale per questo prodotto sembra lo schermo tv più che quello cinematografica.
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