domenica 16 aprile 2017

Assassin's Creed

Assassin's Creed: recensione del film con Michael Fassbender tratto dall'omonimo videogioco

Nell'era della cross-medialità (termine orrendo, ma che va tanto di moda), si sta cercando di risolvere da tempo il problema della traduzione della lingua dei videogiochi in quella del cinema, del passaggio tra una forma di racconto immersiva e interattiva a quella passiva e osservante che è propria dei film.
Assassin's Creed, a questo quesito, fornisce una risposta chiara e precisa. Non sarà forse quella ideale, non sarà l'unica possibile, qualcuno nel futuro prossimo la perfezionerà o la rivoluzionerà: non è nemmeno scritto da nessuna parte che sia una risposta che ci deve per forza piacere, ma ciò nondimeno è una risposta. Chiara e precisa.
Del best seller videoludico della Ubisoft, il film di Justin Kurzel riprende mood, temi e personaggi. Lo spirito e l'agire. E fin qui, non ci sono grandi novità. Ma, piuttosto che limitarsi a prendere una linea narrativa cinematografica tradizionale, e intingerla ben bene nel mondo del gioco - trasformandosi così in una storia ispirata a un universo - Assassin's Creed ha scelto una strada radicale, fatta di stravolgimento della sceneggiatura come la conosciamo, per far emergere per quanto possibile la sensazione dell'esperienza. Per rispecchiare attraverso due piani narrativi differenti le parti interlocutorio/esplorative e quelle più d'azione del gioco, e sostituire l'esperienza immersiva di quel medium con rutilanti e virulente scene d'azione che aggrediscono lo sguardo e trascinano via con il fiume in piena della loro energia.
In altre parole: della storia di Assassin's Creed non si capisce un granché: anzi, quasi nulla, soprattutto se non si ha dimestichezza coi videogame. Si intuiscono le linee macroscopiche, e il resto rimane confuso nell'ombra della fotografia scura e austera, ma importa pochissimo: a Kurzel, e probabilmente anche a molti spettatori. Perché quando un pompatissimo e agilissimo Michael Fassbender smette di essere il nevrotico Callum Lynch del presente e dalla mascella sempre tesa, e "viaggia" verso l'Andalusia del 1492 (data non casuale, ma non spoileriamo), infilando il cappuccio e il carisma di Aguilar de Nerha, e andando alla ricerca della Mela dell'Eden che contiene il codice genetico del libero arbitrio umano (sic.), su tante cose ci si smette d'interrogare.
Anche chi non ha mai giocato ad Assassin's Creed conosce probabilmente il look intrigante del suoi protagonista e degli appartenenti alla setta degli Assassini, e le loro capacità letali e acrobatiche: che se già fanno simpatia da sole, nel film di Kurzel esplodono in un tripudio di acrobazie figlie del parkour più estremo e delle arti marziali più spettacolari.
In quel passato spagnolo, Fassbender (e la bella Ariane Labed, da preferirsi alla rigida Cotillard del presente) si muove inarrestabile e devastante, fino a che le esigenze del film, ovvero quelle di uno spettatore che deve pur respirare, riporta tutti a un presente dal gusto massimalista, pomposo e teatrale che Kurzel aveva già mostrato nel Macbeth.
La scellerata sfacciataggine con cui Assassin's Creed ripone tutta la sua fiducia e i suoi sforzi in un'azione che trova in sé stessa la sua giustificazione narrativa, e con la quale si permette di glissare non solo sulla trama, ma su tutto il mondo fanta-storico a sua disposizione (tra Indiana Jones e i fumetti di Martin Mystère) e sulle straordinarie potenzialità, ha un che di perversamente rivoluzionario, per un blockbuster hollywoodiano. Tanto dissennato da fare quasi simpatia. Quasi.

Fonte: QUI

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