martedì 29 novembre 2016

Lion




Il cinema è fatto anzitutto di storie, e quella di Saroo è una bella storia. Una di quelle vicende che fa subito pensare quanto possa essere cinematograficamente potente. Insomma, il commento da bar ‘una storia da film’ è una sintesi adeguata per descrivere il soggetto di Lion, diretto da Garth Davis, esordiente al cinema che si è fatto le ossa con la serie televisiva Top of the Lake.
Saroo è un bambino che vive nell’entroterra povero dell’India nella metà degli anni ’80. Un giorno segue il fratello in un viaggio in treno per rimediare qualche soldo, e si perde. Finisce a Calcutta e poi viene adottato da un’amorevole coppia australiana che vive sul mare, nell’isola della Tasmania. Superati i vent’anni, mentre si trasferisce a Melbourne per studiare, viene tormentato dal suo passato, e grazie a Google Earth cerca di ritrovare la stazione e quei luoghi che continuano a tormentare il suo sonno. Lion è un adattamento del libro autobiografico dello stesso Saroo Brierley, A Long Way Home, in uscita per Rizzoli.
L’effetto collaterale della potenza di questa storia è proprio il suo essere edificante e commovente, quindi a rischio diabetico. Un prodotto in puro stile Weinstein con seduzione orientalistica alla The Millionaire, in cui particolarmente azzeccata è stata la scelta del protagonista bambino. Due sono i momenti della vita di Saroo in cui si concentra il film: lui bambino in India, coraggioso aiutante del fratello grande e orgoglio della madre che vive raccogliendo pietre; e vent’anni dopo, nel corso della sua vita australiana, nel momento in cui cede alla nostalgia di un passato che inizia a ricordare. Lion analizza il rapporto di Saroo con i due fratelli della sua vita: quello maggiore ormai perso che aveva per lui un forte istinto di protezione e quello problematico con cui è cresciuto, verso cui è lui ad avere attenzioni particolari.
Raro caso di product placement inevitabile per Google Earth, è prevedibile dal primo all’ultimo minuto; ma in fondo è proprio la sensazione rinvigorente di un possibile lieto fine nella vita, quello che ci si aspetta da un film come questo; da una storia come questa. Raccontata con un ritmo fluido che accelera man mano che i ricordi iniziano a tornare nel protagonista, dilata allo spasimo l’ovvia conclusione finale, regala a Nicole Kidman uno dei pochi ruoli convincenti di questo decennio e a Rooney Mara uno dei più anonimi degli ultimi tempi.

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