Persia, 1965: una Chevrolet Impala arancione sbarca sull'isola di Qeshm, nel Golfo Persico. A guidarla è il detective Babak Hafizi, giunto sul posto per indagare sul suicidio di un detenuto politico al confino. Dopo aver constatato che in realtà è stato ucciso, lo fa seppellire nel vecchio cimitero in mezzo al deserto, vicino al relitto di una nave del XVII secolo, e assiste incredulo all'avverarsi delle parole del becchino del luogo: ogni volta che si seppellisce qualcuno in quella terra, si scatena un terremoto. Per risolvere questo e altri misteri, Babak torna sull'isola all'insaputa dei servizi segreti, con un geologo e un ingegnere del suono che lavora nel cinema.
Da una premessa tanto bizzarra prende il via un film affascinante e misterioso come il Manoscritto trovato a Saragozza, in certi punti arcano per lo spettatore non iraniano ma coinvolgente come pochi. Intitolata A Dragon Arrives! in un dichiarato omaggio dell'autore a Bruce Lee, che non ha punti di contatto con la trama, la storia nasce nella mente del regista dalla strana esperienza di un fonico che, dopo essersi inoltrato nelle vecchie grotte nel Sud dell'Iran, cadde in un crepaccio e quando fu ritrovato disse di aver visto una strana creatura nel sottosuolo, che gli aveva insegnato a parlare tedesco (cosa che provò recitando un poema di Holderlin). Mani Haghighi, regista esperto al suo quinto film, mescola leggenda, storia del suo paese, paranoia e realtà in una location di raro fascino, dove ti puoi aspettare veramente di tutto. Forse la parte che noi occidentali cogliamo meno è quella coi riferimenti ai servizi segreti e alla terribile Savak, la polizia segreta iraniana che operava ai tempi dello Scià.
Ma questo non impedisce di godere di un film pieno di sorprese, come quando all'improvviso (e forse in modo un po' incongruo) ci troviamo trasportati in epoca contemporanea all'interno di un (finto) documentario sui fatti a cui fino ad allora abbiamo assistito o vediamo delle scene di The Brick and The Mirror, girato tra il 1964 e il 1968 – quando è amboentata la storia, di cui diventa parte – da Ebrahim Golestan, famoso regista del cinema iraniano, nonno di Haghighi. Tra i lamenti strazianti dei cammelli che ricordano i versi di creature mitologiche, una gigantesca nave forse infestata dagli spiriti dei prigionieri decapitati secoli prima e sepolti in un inquietante cimitero (uno splendido lavoro di scenografia), scavi proibiti e misteri da non portare alla luce, A Dragon Arrives! riesce a conquistarci, imprimendoci nella retina immagini di rara bellezza e nelle orecchie la colonna sonora di Christoph Rezai, una delle più affascinanti e particolari che abbiamo mai sentito, coi suoi ritmi selvaggi e animaleschi (va sottolineato quanto l'estrema attenzione alla musica e al sonoro accomuni i film della rassegna Nuovo Cinema Teheran).
Sono belli anche i personaggi, ben caratterizzati dai loro interpreti: l'interrogatore, l'ambiguo e pericoloso uomo col cappello e le lenti spesse, l'ingegnere del suono hippy, il geologo con le sue strumentazioni artigianali, il detective abbigliato all'americana e tutti i ruoli di contorno, per quanto piccoli. A Dragon Arrives! è uno di quei film il cui fascino risiede proprio nel suo mistero, che non chiede di essere compreso e spiegato ma vissuto e ci rimanda al lato più fiabesco della cultura iraniana, che Haghighi con grande sapienza innesta sul vissuto storico del suo paese, riuscendo a parlare dell'oggi attraverso metafore e racconti di un passato che ormai non può più fare del male a nessuno.
Fonte: comingsoon.it
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