Hiroki Ryuichi è un regista giapponse, piuttosto prolifico, che la sua gavetta professionale l'ha fatta nei cosiddetti pinku eiga, popolarissimi film erotici soft-core, poi si è cimentato anche nell'hard e poi ha cominciato a fare cinema per tutti, raccontando storie intime che tratteggiano i rapporti di coppia e sociali nel Giappone di oggi nelle quali, comunque, il sesso fa sempre capolino.
Però non bisogna andare al cinema a vedere Tokyo Love Hotel aspettandosi un film piccantissimo tutto nudi e amplessi. Che ci sono, i nudi (mai integrali, che in Giappone pure il porno vero è censurato) e gli amplessi, ma sono una parte infinitesimale dei tanti eventi che portano il film a essere una sorta di minestrone - lungo, anche troppo, 135 minuti dai ritmi spesso eccessivamente dilatati - nel quale convergono storie e istanze dei tanti personaggi che lo popolano.
Il perno, ovviamente, è il love hotel (sorta di albergo a ore) del titolo, dentro e attorno al quale gravitano le sorti di tutti i personaggi: coppie che si nascondono da anni in attesa che un certo reato passi in prescrizione, escort che stanno per cambiare lavoro, portieri di notte che sognavano i grandi alberghi a cinque stelle, ragazze che si sono date al porno, fidanzate fedifraghe e molto altro ancora.
Da ognuno di questi personaggi e dalle loro storie, Hiroki distilla il tono di un film che non rifiuta affatto la gioia e la risata occasionale, ma che è primariamente intriso di una malincolia profonda: di quella malinconia che deriva dal vedere i propri sogni svaniti, o sempre più lontani, compromessi dalle difficoltà economiche, dalle crisi relazionali, da macroeventi drammatici come quella tragedia di Fukushima le sue conseguenze aleggiano malevole su tutto il film.
Il sesso, allora, come spesso accade, è qui un antidoto alla disperazione, una parentesi di annullamento nella quale perdersi senza pensare a nulla, tantomeno alla propria condizione o alla propria frustrazione. È libero, ma venato di tristezza, sempre o quasi.
E allora ai personaggi di Tokyo Love Hotel la libertà, e la speranza, gli tocca andarsele a cercare da un'altra parte, alla fine. Esplorando un mondo ignoto, e imprevedibile, ma lontano dalle gabbie fisiche delle stanze e dei corridoi ma anche da quelle mentali delle proprie scelte.
Nulla di particolarmente nuovo, né di particolarmente coinvolgente, in un racconto forse troppo faticoso. Ma a Hiroki va riconosciuta una mano leggera in grado di alternare toni e gestire intrecci senza intoppi, e la capacità di trarre il meglio dai suoi attori, tutti scelti ad hoc.
Fonte: comingsoon.it