venerdì 5 maggio 2017

Il viaggio di Fanny

Il viaggio di Fanny: recensione del film di Lola Doillon

Se il bambino del Guido Orefice di Roberto Benigni ne La vita è bella non aveva respirato l’orrore del campo di concentramento, trovandosi tuttavia nel bel mezzo di un gioco molto complicato giocato da signori in uniforme e dalla parlata incomprensibile e ostile, i nove ragazzini de Il viaggio di Fanny la guerra e la deportazione degli ebrei in qualche modo la capiscono (chi più e chi meno), e la sopportano con dignità, come piccoli guerrieri chiamati a impugnare armi non di plastica ma di acciaio o bronzo fuori dalla loro cameretta o dal giardino di casa. Victor, Erika, Georgette, Fanny, eccetera sanno addirittura che il Nazismo è un male e che i "crucchi" sono cattivi come gli orchi e le streghe delle favole. Hanno imparato, infine, che ancor più dei piedi, martoriati da scarpe rotte e camminate interminabili, a fare male e a provocare scoramento e lacrimoni è l’abbandono da parte di mamma e papà, che scrivono poco o non scrivono più, e che hanno preso il treno per andare andare in un posto sconosciuto.
La vicenda di questi personaggi, toccante e necessaria, è una storia di infanzia negata, rubata e perseguitata, ed è il gancio narrativo a cui Lola Doillon ha appeso il suo talento registico per frugare ancora una volta anime acerbe con leggerezza rohmeriana, empatia e sensibilità primitive, e per aggiungere la sua personalissima voce al coro che ha cantato e (fortunatamente ancora canta) la Shoah. Non c'è però nessun accademismo e nessun intento pedagogico nella sua versione più da guerrilla e quasi tutta "scappa e fuggi" della rocambolesca vera avventura di Fanny Ben-Ami, che dalla Francia occupata riuscì miracolosamente ad arrivare in Svizzera alla guida di un combattivo plotone di piccolini. E questo per due precise ragioni.
La prima è che Il viaggio di Fanny funziona come un thriller, come il miglior thriller, anzi, dove dietro ogni angolo si celano una minaccia, il tradimento di un compagno, una mossa falsa, il pericolo di morte. Il ritmo infatti è serrato e il candore infantile, così come come la scarsa resistenza fisica di chi ha solo 4 o 5 anni, ben si adattano al genere, perchè hanno l’effetto di moltiplicare la tensione, incollando lo spettatore allo schermo proprio come succedeva con Il fuggitivo o con qualche vecchio buon film di guerra. Certo, siccome in prima linea non ci sono né Harrison Ford, né Liam Neeson né Vin Diesel, ogni tanto non manca qualche concessione alla facile commozione (con una lettera che vola come una farfalla, per esempio), ma più spesso l'azione e la poesia, il coraggio e l'innocenza, l'infinita bellezza di un paesaggio e la crudeltà dei villain o di una maturità piombata addosso sono in perfetto equilibrio.
E poi, ed eccoci alla seconda ragione e al motivo per cui il film è attraversato da pause liriche e non è mai troppo sconvolgente - alla Doillon interessa parlare in particolare ai bambini. Per questo segue un andamento narrativo classico, sceglie di non "appoggiarsi" a grandi volti noti (con l'eccezione di Cécile de France) e ha impiegato mesi nella ricerca della giovane protagonista femminile, trovata nella brava ed espressiva Léonie Souchaud. La Fanny da lei impersonata si impone come la pre-adolescente che forse tutti eravamo o avremmo voluto essere, ed è solo una delle donne forti di quello che probabilmente a nessuno potrà sembrare un feel good movie, nemmeno al pubblico giovanissimo che lo vedrà come una favola un po' movimentata. Perché è di ferocia umana che parliamo, di inaudita ferocia, anche nei confronti delle creature più innocenti, che colmano con la loro grazia un buio vuoto di senso.
L’impressione generale, nonostante l’happy ending, è insomma che, anche se ci sarà sempre qualcuno pronto ad accogliere le persone scomode in cerca di salvezza, non mancheranno nel futuro dell’umanità persecuzioni, cacciate, intolleranza, ingiuste separazioni. Questo viene in mente a chi guarda la ragazzina dal vestito rosso che attraversa le alpi: una possibilità di salvezza e di apertura, ma anche un mondo adulto di cui non sempre ci si deve fidare fino in fondo.

Fonte: QUI

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