Nella Germania del Sud dei primi anni '40, Ernst Lossa è un tredicenne di etnia nomade jenisch, orfano di madre e con un padre ambulante che non può prendersene cura. Dopo una trafila di famiglie affidatarie e il riformatorio, arriva nel reparto psichiatrico dell'ospedale gestito dal dottor Veithausen con la nomea di ragazzo problematico. Rassicurato dalle promesse del medico, Ernst si fa ben volere e trova uno scopo nell'aiutare i ragazzi più deboli. Ma quando scopre che un numero crescente dei suoi amici muore per misteriose e fulminanti polmoniti, capisce che vengono uccisi e cerca di ribellarsi con tutta la forza della sua innocenza a una macchina inumana lanciata alla sua massima potenza.
Tra gli indicibili crimini contro l'umanità perpetrati dal nazismo, ancora poco si sa dello sterminio di oltre 200.000 persone – tra cui 5000 bambini e ragazzi - disabili o ritenuti incurabili e incapaci di lavorare, avvenuto tra il 1939 e il 1944 proprio nei luoghi di cura, soprattutto psichiatrici, col pretesto di una pietosa eutanasia ma con lo scopo di depurare la razza ariana degli elementi considerati nocivi. Una rupe Tarpea del ventesimo secolo, gestita col rigore, la precisione e l'assoluta freddezza di un meccanismo che sapeva di poter contare sulla collaborazione di molti volenterosi carnefici. E quando i trasporti e gli omicidi dei malati nelle camere a gas suscitarono proteste e sdegno tra la popolazione, l'efficiente macchina del Reich continuò il suo programma con più discrezione, con la cosiddetta Operazione T4 (sigla dell'indirizzo della villa berlinese dove venne prese la decisione).
Per molto tempo questa tragedia è stata ignorata dagli studiosi e dunque dalle varie commemorazioni, fino a che sono stati aperti gli archivi delle cliniche ed è stato reso noto questo ennesimo capitolo dell'orrore. È degno di nota il fatto che il medico che dal 1980 al 2006 ha gestito la clinica psichiatrica in cui è avvenuta la storia di Ernst Lossa ha fatto da consulente al film. Se l'Italia, infatti, non ha ancora fatto i conti col suo passato, la Germania lo sta già facendo da un pezzo ed è particolarmente significativo che arrivi proprio da lì, sulla scorta di un libro del giornalista e sceneggiatore Robert Domes, un film importante come Nebbia in agosto, che ci fa conoscere una delle tante e terribili storie vere che si sono svolte ai margini dei campi di sterminio.
Per un professor Giovanni Borromeo– un Giusto tra le nazioni – che inventò il terribile Morbo di K per tenere lontani i nazisti dai suoi pazienti ebrei al Fatebenefratelli e tanti altri suoi colleghi che resero onore alla loro missione, ce ne furono altrettanti che tradirono il giuramento di Ippocrate per mettersi al servizio di un’ideologia disumana e utilizzarono persone inermi come cavie di atroci esperimenti - come il famigerato e mai catturato dottor Mengele - oppure, come il dottor Veithausen del film, teorizzarono modi migliori e più economici per accelerare la dipartita di esseri giudicati inutili e nocivi, con la collaborazione di sottoposti che obbedirono agli ordini senza protestare. Quasi tutti, purtroppo, rimasti impuniti.
È già orribile immaginare uno scenario simile in generale, ma il film fa di più: ci fa conoscere (e amare) Ernst, un ragazzo fiero, sfacciato e ladruncolo ma generoso e sensibile, e i suoi compagni con la loro voglia e diritto di vivere, restituendo loro nome e dignità. Perché, come scriveva il premio Nobel Henrich Böll, “il segreto dell’orrore sta nel particolare” e più della sofferenza di masse anonime e sconosciute sono le storie individuali che ce lo fanno capire e sentire con maggiore intensità. Le dittature tolgono alle loro vittime vestiti, capelli, nome e identità per marchiarle con dei numeri, ma se sappiamo i loro nomi, vediamo i loro volti, conosciamo le loro storie, ci sono subito più vicini. A colpirci al cuore e a farci gridare "mai più" sono la bambina col cappotto rosso di Schindler’s List, Anna Frank che sogna il futuro scrivendo il suo diario, rintanata per due anni nel nascondiglio della casa di Amsterdam, Ernst Lossa col suo coraggio, impotente Davide contro un mostruoso Golia.
Tutte storie vere che dovrebbero invitarci a ricordare che questo è stato e non dovrebbe più accadere e che proprio perché lo stiamo dimenticando si ripete oggi in altre parti del mondo, come la Siria e la Nigeria. Nebbia in agosto è un film che rende davvero onore alla Memoria dei milioni di vittime innocenti della storia, e lo fa in modo coinvolgente, rigoroso e contenuto, con molte scene che restano impresse nella memoria e un’unica veniale concessione alla retorica cinematografica in un finale che ci ha ricordato Qualcuno volò sul nido del cuculo. Gran parte del merito va anche agli attori, a partire dai due protagonisti, il giovanissimo, straordinario Ivo Pietzcker e il veterano Sebastian Koch, premiatissimo interprete di Le vite degli altri, che ha messo spesso il suo talento, con lodevole impegno civile, al servizio di film che fanno luce sulla storia più buia del suo paese. Nebbia in Agosto è un tassello prezioso aggiunto alla storia di un secolo e di un’umanità dai cui errori non riusciamo proprio ad imparare, un film che speriamo sia visto da molti e che soprattutto nelle scuole troverà un pubblico ancora incontaminato, in grado di recepirne il messaggio.
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