Il soldato Billy Lynn (Joe Alwyn), in compagnia di alcuni suoi commilitoni e del sergente Dime (Garrett Hedlund), nel 2004 è ospite d'onore della partita dei Dallas Cowboys, nel Giorno del Ringraziamento. Billy è stato ripreso dalla telecamere mentre in Iraq si esponeva per salvare la vita del sergente Breem (Vin Diesel), senza riuscirvi. Diventa tuttavia un simbolo insieme agli altri ragazzi, ma soffre di stress post-traumatico e ha la tentazione di accettare il consiglio di sua sorella Kathryn (Kristen Stewart), antimilitarista convinta e indiretta causa del suo arruolamento. Chi è Billy?
Come spettatori ci poniamo la stessa identica domanda, ma possiamo estenderla anche al film stesso: cos'è Billy Lynn - Un giorno da eroe, tratto dall'omonimo romanzo di Ben Fountain? Una satira, come farebbe pensare l'uso di commedianti tipo Chris Tucker e Steve Martin, in ruoli patetici o ipocriti? Un dramma sentimentale in difesa dei soldati americani? Un romanzo di formazione? Un'allucinazione? Da ciascuno dei punti di vista potremmo avvallare tutte queste ipotesi: il suo regista Ang Lee, che a maggior ragione dopo Vita di Pi sa qualcosa di inganni e meccanismi psicologici di difesa, costruisce il "giorno da eroe" come una trincea psicologica nella quale ci scaglia insieme a Lynn: ci chiede di essere confusi tanto quanto Billy, in una giornata che lo riempie d'onori e specchi per le allodole, intervallata da flashback al fronte e a casa, in una centrifuga in cui coreografia bellica e allestimenti massmediatici sono indistinguibili. Gioca con l'ideologia liberal e pacifista, scegliendo persino un'attrice militante come Kristen Stewart, ma rischia grosso quando preme il pedale della retorica, trasferendo satira e disprezzo solo su chi è il mandante della guerra, donando fascino al sacrificio militare fine a stesso, teorizzato dal defunto "filosofo" sergente Breem. A ben vedere, lo sguardo sull'America che si evince dal film potrebbe essere quello sulla figura di Faison (Makenzie Leigh), la sexy cheerleader che fa girare la testa a Billy: seducente, incapace di assumere un punto di vista che non sia tradizionale, eppur sincera nei suoi limiti, perciò non davvero criticabile. E' la retorica di cui sopra a trasformare in ambiguità quella che poteva essere una provocatoria equidistanza, in grado di scatenare qualche discussione più accesa all'uscita dalla sala.
A sostenere meglio l'idea di un'identificazione totale tra pubblico e Lynn c'è la ripresa: Ang Lee e il suo direttore della fotografia John Toll sono stati i primi a girare un lungometraggio di fiction in 3D 4K a 120 fotogrammi al secondo, lì dove la normale ripresa cinematografica viaggia sui 24, escludendo gli esperimenti a 48fps di Peter Jackson con la trilogia dello Hobbit. Anche se la versione originale in 120fps si è vista solo in cinque sale (costosamente) attrezzate negli States, rimangono tracce della peculiare strategia visiva anche nella versione da noi distribuita nei canonici 24fps, comunque convertita sotto la supervisione di Lee. Il quadro, mediamente molto luminoso, è composto tanto in verticale quanto in orizzontale, al punto che il rapporto d'immagine 1,85:1 viene percepito in modo volutamente slanciato (quasi fosse un 1,5:1). In svariati campi e controcampi gli sguardi dei personaggi finiscono in macchina e non, come di consuetudine, al lato dell'obiettivo. Tutto in funzione di una sensazione di presenza esasperata, che rende il trattamento dell'immagine più sperimentale di quanto possa sembrare a prima vista, al netto dei pacchiani schermi dei cellulari fluttuanti in sovraimpressione. E' stata annunciata un'edizione home video Ultra HD 4K a 60fps (un altro primato), che sarà già più vicina all'ipernitidezza e alla disorientante fludità che Lee cercava per questo squilibrato ma curioso film.
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