Jeeg Robot esiste e abita a Tor Bella Monaca. Ce lo dimostra Gabriele Mainetti con il suo esordio al lungometraggio Lo chiamavano Jeeg Robot, che arriva curiosamente proprio mentre il buon Hiroshi festeggia i suoi 40 anni animati. Il regista romano si è fatto apprezzare, finendo nella shortlist degli oscar, per il corto Tiger Boy, racconto di un altro eroe mascherato, il Tiger, idolo di un bambino del quartiere romano di Corviale. Un’altra zona poco rinomata e molto citata come rappresentazione del degrado, Tor Bella Monaca, ospita Enzo Ceccotti, criminale di basso livello durante un inseguimento finisce a contatto con una sostanza radioattiva. Non l'acqua del Tevere, almeno non solo quella. A quel punto scopre di avere una forza sovrumana, un vero super potere. Cerca quindi di metterlo a frutto per il suo ladrocinio quotidiano, finendo per dover badare alla bella vicina, che non ci sta con la testa dopo la morte della madre, e vede tutto il giorno i dvd di Jeeg Robot d’acciaio.
Non sarebbe però un vero film di supereroi all’italiana (anche a scriverlo ci suona incredibile) senza un antagonista, un Loki spietato, interpretato da un sempre più convincente Luca Marinelli. Pensate, insieme all’altro protagonista Claudio Santamaria, canta anche, neanche fosse un attore di scuola britannica; e i due si riempiono pure di botte. Mainetti ha voluto mantenere libertà nel realizzare il film, da lui anche prodotto. In questo modo, rispetto ad altri recenti esperimenti come Il ragazzo invisibile, non ci troviamo di fronte a uno spettacolo edulcorato o a un supereroe per famiglie. Niente anestesia, qui, le ferite si vedono e non si curano, rimangono purulente a caricare Lo chiamavano Jeeg Robot di un valore rigenerativo che vale per i protagonisti, ma un po’ anche per un’industria cinematografica poco abituata a rischiare, a proporre prodotti italiani più articolati rispetto alla solita stanca dicotomia cinema d’autore/commedia commerciale.
Mainetti si è nutrito di fumetti, anime e cinema di genere, come molti di quelli che leggono queste righe e che andranno a vedere il film. Se ne ha conferma nel citazionismo con divertimento del film, che non diventa mai sterilmente nerd. Della tendenza al recupero di tutto quanto è pop, già masticato e diventato immaginario, il regista recupera alcune canzoni anni ’80 melodiche italiane, utilizzandole per dei momenti di respiro comico.
Lo chiamavano Jeeg Robot è il film di (un) genere italiano, quello supereroistico, che stavamo aspettando in tanti. Polposo più che pulp, pieno di carne, sangue, e con una Roma protagonista assoluta, eterna testimone sarcastica dei suoi altrettanto eterni problemi. C’è molta più profondità qui, con il mantello del genere, che in tanti didascalici e poco credibili polpettoni pseudo autoriali. Il ritmo serrato, la cura formale ben superiore al suo budget, i personaggi ben costruiti e credibili, fanno perdonare anche un certo innamoramento per i troppi finali, una lunghezza eccessiva, che sembra legata alla passione irrefrenabile di chi non vuole abbandonare questi due adorabili criminali. Aria fresca nel cinema italiano, speriamo che le finestre rimangano aperte a sufficienza per un bel ricambio d’aria. Intanto, Enzo Ceccotti sembra pronto a tornare a indossare di nuovo la maschera di Hiroshi/Jeeg in un sequel, e a noi la cosa non dispiacerebbe.
Fonte: comingsoon.it
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