sabato 7 luglio 2018

IL CASO THOMAS CROWN


Capelli biondi, occhi di ghiaccio, aria da cattivo ragazzo: Steve McQueen è il mattatore de Il caso Thomas Crown, che compie cinquant’anni: usciva negli Stati Uniti il 26 giugno 1968 e in Italia nell'ottobre di quello stesso anno. Il film non è mai stato un vero e proprio cult, ma ha fatto storia per il fascino dei due protagonisti. McQueen nel 1968 rappresentava l’antieroe per eccellenza, irresistibile per ogni donna in cerca di avventure. La sua passione erano le macchine, le folli corse come ne Le 24 ore di Le Mans, che lo hanno fatto diventare il modello di “una vita spericolata”, come cantava Vasco Rossi.

Qui interpreta un ladro gentiluomo ricchissimo, che svaligia banche semplicemente per sfuggire alla noia. È un Arsenio Lupin mai in bolletta, nel tempo libero gioca a polo (lo sport dei re) e sul lavoro si trasforma in uno squalo della finanza. Il poliziotto di Bullit era di là da venire, come la disperata corsa oltre il confine americano di Getaway! o l’evasione dal campo nazista in sella alla mitica Triumph in La grande fuga, o quella via mare di Papillon. In fondo le sue peripezie erano una variazione sul tema dell’eterno inseguito che vince (quasi) sempre la gara, drammatica che sia.

Invece qui l’emergente divo McQueen è un Thomas Crown bello e dannato, pronto a farsi cadere tra le braccia la star del momento Faye Dunaway, vale a dire la Bonnie Parker in Gangster Story, dove faceva coppia con Warren Beatty. Il regista Norman Jewison le fa vestire i panni di una detective al servizio delle assicurazioni, che a qualsiasi costo vogliono recuperare la refurtiva senza mettere mano al portafoglio. Lei non ha mai lasciato un caso irrisolto, è un mastino avvenente che in pochi giorni trova il suo colpevole. Ma non ha fatto i conti con il cuore.

McQueen e Dunaway si studiano da lontano, giocano al gatto e al topo, facendo finta di non conoscersi. Lei è la poliziotta, lui il furfante, e l’attrazione è fatale. La scena della partita a scacchi tra i due è da antologia. In realtà è un gioco erotico, in cui alle mosse del cavallo si sostituiscono gli ammicchi all’avversario, le inquadrature strette sulle labbra carnose e gli sguardi allusivi. McQueen se ne esce con un: “Facciamo un altro gioco”. E il regista lo accontenta.

Fonte: QUI